Manualetto di pratiche colturali
con trucchi, astuzie, accorgimenti, consigli, derivati dalla pratica
IL TERRICCIO
Il terreno è costituito da rocce degradate, acqua, aria, sostanze organiche e costituisce la risultante di azioni chimiche, fisiche, biologiche. Svolge funzioni di sostegno per l'apparato radicale, è il luogo ove avvengono scambi e reazioni tra gli elementi solidi, liquidi e gassosi e dove si trovano per essere elaborati in varia guisa gli agenti nutritivi utilizzabili dalle piante come composti inorganici, fatta eccezione per il Carbonio che è prelevato dall'aria. Contiene i nutrienti che le radici possono utilizzare solo se i sali minerali si trovano disciolti in acqua. Perciò le piante, escluse quelle parassite, traggono nutrimento dall'anidride carbonica dell'aria e dai sali minerali del terreno che l'acqua discioglie. Per mezzo dell'anidride carbonica, della luce, dell'acqua e della clorofilla le parti verdi delle piante producono gli zuccheri, a loro volta trasformati in sostanze vitali dai sali minerali, ad opera delle radici.
L'assorbimento radicale della soluzione circolante avviene per mezzo dei peli aventi una vita di solo qualche giorno, ma altrettanto velocemente ricostituiti. In conseguenza di ciò le radici devono crescere in continuazione durante la fase vegetativa e risvegliate con gradualità dopo la stasi, al fine di essere invogliate alla formazione di nuovi peli assorbenti.
Composizione (tessitura):
- Sopra i 2 mm. = ghiaietto (scheletro);
- da 2 mm. a 0,2 mm. = sabbia grossa (permeabilità, scioltezza e spesso aridità);
- da 0,2 mm. a 0,02 mm. = sabbia fine (idem);
- da 0,02 mm. a 0,002 mm = limo (caratteristiche medie)
- sotto a 0,002 mm. = argilla (impermeabilità e compattezza).
Per porosità s'intende il rapporto esistente fra volume del terreno e spazi vuoti fra le varie particelle. La struttura denota il modo mediante il quale le particelle del terreno sono disposte.
Consigliare un terriccio per le piante grasse è cosa ardua, vuoi perché in natura questi vegetali vivono in substrati alquanto disparati, vuoi perché sono difficili da riprodurre, e non è detto che ciò costituisca quanto di meglio possiamo loro offrire. Per cui ogni formula è personale e, come tale, opinabile e non generalizzante, poiché legata alle condizioni ambientali in cui facciamo crescere le piante. La cosa migliore è pertanto quella di fare esperimenti in proprio.
Di certo si può dire che il suolo deve avere una struttura sciolta e porosa, lasciar passare agevolmente l'aria e l'acqua, non asciugare con lentezza, ma neppure troppo velocemente, non contenere troppa sostanza organica. Questo substrato deve contenere elementi nutritivi sotto forma di ioni, così da essere trattenuti e non dilavati facilmente dall'acqua di sgrondo, e possedere una buona capacità tampone per non vedere compromesse le caratteristiche iniziali a seguito delle modifiche apportate dall'acqua e dalle concimazioni. Necessaria è anche la presenza equilibrata di microrganismi in grado di migliorare la struttura fisica del suolo e rendere meglio disponibili le sostanze nutritive. Infine il materiale deve essere facilmente reperibile, non costare molto, non essere pesante e possedere una buona bagnabilità.
Un suolo così è difficile da trovare in natura alle nostre latitudini, per cui si ricorre ad un miscuglio basato su terra di campo (ricca di microrganismi utili), sabbia (ha bassa capacità di assorbimento ionico e non trattiene umidità), terriccio di foglie (per l'apporto di sostanza organica), in varie percentuali. Ovviamente è possibile utilizzare dei sostituti: terra di giardino, ghiaietto, pomice, lapillo lavico, pozzolana, ecc. Nella preparazione è utile aggiungere un fertilizzante trivalente in polvere, ricco di fosforo e potassio, un anticrittogamico ed un antiparassitario anch'essi in polvere.
Si può ridurre il pH della soluzione circolante in un terriccio, aggiungendo del gesso, della torba o del terriccio di foglie di faggio. Al contrario si aumenta il pH aggiungendo calce spenta, polvere di marmo, farina di gusci d'ostriche. Per i neofiti, ed a scopo puramente indicativo, alla pagina appunti di coltivazione ho indicato alcune formule alle quali si può fare riferimento.
Il pH è l'unità di misura che esprime il grado di acidità o di alcalinità di una soluzione. Per cui non si dovrebbe parlare di acidità e basicità del terreno ma della reazione che presenta la soluzione che viene fatta circolare in esso. La scala va da 0 a 14; più precisamente da 0 a 6 indica acidità, da 8 a 14 alcalinità, 7 sta per neutralità. E' utile sapere che il pH è una grandezza logaritmica, cioè se il pH viene alterato di 1 grado la variazione è pari a 10 volte. Se il pH varia di 2 gradi la variazione è di 100 volte, e così via. Per cui un terriccio con un pH 5, è 10 volte più acido di uno con un pH 6, 100 volte più acido di un suolo con pH 7, e 1000 volte più acido di uno con pH 8.
E' risaputo che le piante grasse gradiscono, di norma, un pH neutro (7) o leggermente acido (6-6,5), fatte salve le epifite che lo gradiscono più acido, ed altre che invece lo prediligono più alcalino. Spesso non si sa come effettuare questa misurazione, a meno di ricorrere ad un laboratorio di analisi chimica; esiste tuttavia la possibilità di eseguire una valutazione casalinga mediante un "piaccametro elettronico" come quello rappresentato a destra o una semplice analisi mediante un metodo "colorimetrico a comparazione ottica" (immagine in basso a sinistra) meno precisa, ma sufficiente, e meno costosa. Trattasi di quei test usati in acquariofilia o nelle piscine. Si versa un cucchiaino di terriccio in un bicchiere contenente 30 cc. di acqua demineralizzata, si mescola ripetutamente, si fa riposare per qualche giorno, dopo di che si filtra con un imbuto nel cui foro è stato inserito un piccolo batuffolo di cotone idrofilo; quindi si prelevano 5 cc. di liquido da versare nella provetta graduata acclusa al test e se ne segue le istruzioni. Lo stesso procedimento può essere seguito per l'analisi con piaccametro elettronico a patto di utilizzare quantità maggiori di acqua e di terriccio. Sconsigliabili in quanto troppo imprecise, risultano invece le misurazioni eseguite con le cartine al tornasole.
Disinfezione. Questa pratica risulta indispensabile quando si desidera riutilizzare del terriccio ricostituito, prelevato in natura, nel sottobosco, o da utilizzare nelle semine delicate. Lo scopo è quello di eliminare eventuali semi indesiderati, spore crittogamiche, uova e larve di insetti, anguillole, ecc. Ecco alcune metodologie semplici eseguibili in casa:
- annaffiare per bene il terriccio con acqua bollente e poi farlo asciugare;
- ricorrere al forno regolato almeno a 100°C per circa mezz'ora, o a quello a microonde a tutta potenza per lo stesso tempo; in questo caso il terriccio deve essere previamente bagnato;
- fare uso di formaldeide al 40% (formalina) da diluire con acqua al momento dell'uso nel rapporto di 1:50 (una parte di formalina e 50 di acqua). Questa operazione va eseguita all'aperto così da non respirare i vapori che si generano. Con la soluzione si annaffia il terriccio nella misura di 10 lt. per circa 30 cm3 di massa. Si rimescola per bene e si copre per qualche giorno con un telo di nylon, attendendo un paio di settimane prima di utilizzarlo.
Carenze e clorosi. Non sempre l'aspetto giallognolo, che alcune piante assumono, è dovuto a malattie. La causa può anche essere ricercata in un pH non adeguato, a cui si pone rimedio con un rinvaso; o a carenza di oligoelementi, ovviabile con appropriato fertilizzante; ovvero dipendere da un terreno ormai dilavato, esaurito o peggio infetto.
SEMI E SEMENZALI
La disinfezione dei semi. E' una pratica assai utile per la eliminazione delle spore fungine. Un sistema è quello di ricorrere all'acqua calda a 60°C. da mantenere costante per circa mezz'ora durante la quale i semi dovranno restare immersi. Invece dell'acqua calda si può usare dell'ipoclorito di sodio (varechina) diluito con acqua nel rapporto 1 a 10, provvedendo a fine trattamento (un'ora) ad un accurato lavaggio con acqua piovana preventivamente bollita. Altro sistema, da me preferito, è quello di spolverare i semi con un buon anticrittogamico in polvere.
Per dettagliate informazioni clicca sulle modalità di semina.
Scarificazione. Serie di interventi volti a far penetrare l'umidità all'interno del seme e dare così inizio al processo germinativo. La pratica è indispensabile per i semi a tegumento duro i quali, a seconda delle dimensioni, sono trattati in modo diverso. Quelli maneggiabili vanno incisi con un ago, lima, tela abrasiva ecc. I semi delle cosiddette "piante da freddo", andranno necessariamente immersi per circa 5 minuti in acido solforico e poi accuratamente lavati.
Stratificazione. Si sottopongono i semi ad un inverno artificiale conservandoli per qualche tempo nel frigo fra 1 e 4°C. Altro metodo è quello dello choc termico (gelo-disgelo) mediante il quale si mettono i semi in freezer di notte e si tolgono di giorno.
Controllo germinabilità. E' una pratica utile per determinare l'efficienza germinativa. Si inserisce in un vasetto di vetro o dentro una scatoletta di plastica, dell'ovatta a strati (ottima quella per struccare il viso) mantenuta costantemente umida; si sparge un numero ben definito di semi; si sigilla col coperchio o mediante pellicola trasparente, ed a temperatura adeguata si attende la germinazione. In questo modo si raccolgono dati precisi sui tempi e sulle percentuali delle nascite.
Pre-germinazione. I semi grossi, specialmente se non scarificati sono lenti a germinare ed assai suscettibili ad ammuffire, per cui oltre che disinfettarli, può risultare utile farli pregerminare su cotone idrofilo o su carta assorbente come per il controllo germinabilità. A nascita avvenuta si invasano.
Semi minuti. Per favorire un'opportuna distribuzione, i semi molto piccoli possono essere mescolati a polvere di carbonella o zolfo, che funzionano anche da anticrittogamici. Altro sistema è quello di piegare a metà una cartina, versarvi sopra i semi e dare con una mano dei leggeri colpetti all'altra che la sorregge, così da permettere un maggiore controllo nella semina.
Semine in barattolo. Quando si devono eseguire semine delicate, un ottimo sistema è quello di usare un barattolo di vetro entro cui avremo inserito del materiale inerte e possibilmente sterile come, ad esempio, la pomice, l'agrilit o la sabbia di quarzo da cui avremo stacciato via sia la parte con diametro superiore ai 2 mm., che quella polverulenta. Completata la semina si chiude col relativo coperchio ed a germinazione avvenuta si trapianta delicatamente.
Ripicchettamento. I giovani semenzali sono spesso troppo fragili per essere ripicchettati a mano, allorché è giunto il momento di trapiantarli in un terriccio più confacente alla specie. A questo scopo può risultare utile l'attrezzo qui rappresentato. Trattasi di un cartellino in plastica o in legno del genere che si usa per la nomenclatura, a cui è stato praticato un incavo a V.
La raccolta dei semi. I frutti contengono semi che vanno raccolti a completa maturità, e con modalità diverse a seconda che siano deiscenti o indeiscenti. Per quelli deiscenti l'operazione dovrà essere compiuta quando si aprono spontaneamente; per gli altri, a seconda dei casi, quando seccano, appassiscono o si possono staccare agevolmente. I frutti carnosi sono sempre indeiscenti.
Alcune specie maturano i frutti dopo solo due settimane (ad es. gli Astrophytum), molte lo fanno, comunque, nello stesso anno della fioritura, altre come la famiglia delle Asclepiadaceae, maturano i follicoli l'anno successivo all'impollinazione. I Mesembriantemi impiegano 6 mesi, ma la semina deve avvenire non prima di un anno dall'impollinazione. I minutissimi semi delle Crassulaceae germinano con difficoltà.
I frutti si conservano in un vasetto, in luogo arieggiato in attesa dell'estrazione dei semi, con l'avvertenza di indicare genere, specie ed anno di produzione. Spesso in caso di frutti carnosi può essere opportuno attendere l'essiccazione della polpa.
I frutti secchi vanno disposti su di un foglio di carta e aperti. I semi che ne usciranno saranno ripuliti dalle impurità con l'aiuto di uno stecchino, soffiando via con delicatezza la parte polverosa. Quelli molto minuti vanno ripuliti aiutandosi con una lente da ingrandimento o meglio un microscopio.
I frutti carnosi e con mucillaggini vanno aperti ed i semi collocati entro un colino aventi le maglie un pò più piccole del diametro degli stessi. Si mette il tutto sotto un getto d'acqua del rubinetto e si stropiccia fino a quando i semi risulteranno puliti. Si fa asciugare e si tolgono eventuali impurità e frammenti ormai secchi.
I frutti a follicolo vanno chiusi per tempo in una garza per impedire al pappo di disperdersi.
Le capsule delle Euphorbiaceae e delle Liliaceae vanno anch'esse chiuse in una garza per evitare che i semi si disperdano a seguito dell'espulsione.
Le capsule dei Mesembriantemi non devono essere bagnate allorché si desidera estrarne i semi, per non correre il rischio di trovarle vuote. Io provvedo ad aprirle sopra ad un foglio di carta con l'accortezza di togliere e/o di soffiare via con attenzione tutte le impurità. Altri mettono i frutti in un bicchiere d'acqua, poi quando sono ben aperti li scuotono, quindi provvedono alla raccolta dei semi con un colino a maglie fitte.
Raccomando un'accurata pulizia dei semi che devono essere perfettamente liberati dai residui di polpa che sono spesso fonte di malattie fungine. Non dimenticare neppure una buona disinfezione secondo quanto precedentemente indicato.
Assai utile per la raccolta dei semi è questo semplice attrezzo, facilmente autocostruibile con un contenitore per pellicole 35 mm. ed alcuni centimetri di tubetto plastico del genere usato negli acquari. Aspirando col tubetto di destra, i semi risaliranno in quello di sinistra finendo dentro al contenitore.
RIPRODUZIONE AGAMICA
Talea. Tecnica mediante la quale con appropriati accorgimenti, e sotto determinate condizioni, parte di una pianta emette radici per dare vita ad un nuovo soggetto, attraverso un processo di rigenerazione che riproduce esattamente la pianta da cui proviene. E' una proprietà che hanno moltissimi vegetali che li porta a ricrearsi organi mancanti. Dapprima si forma il callo, poi le radici, quindi la gemma apicale riprende a crescere, segno evidente dell'avvenuto attecchimento. Le talee permettono di ottenere velocemente e con facilità nuove piante, specialmente quelle i cui semi sono introvabili o in via di estinzione. Si salvano così piante malate e si ringiovaniscono quelle vecchie o malformate. Il periodo migliore è quello che va dalla fine della primavera alla fine dell'estate, allorché le piante sono "in tiro". Se una pianta viene colpita da marciume e si ha necessità di farne una talea, la si può conservare al fresco e farla radicare in primavera.
Preparazione. Scelta una pianta sana, si procederà a resecare la parte basale della talea (2 cm. finali) dandogli una forma a cono rovesciato (V.disegno a lato) senza giungere ad intaccare i fasci centrali (cactaceae); gli elementi piatti, tipo Opuntia, saranno tagliati obliquamente. Si usano utensili puliti, disinfettati in alcool e molto affilati; si spolvera il taglio con un anticrittogamico.
Talee di fusto. Dopo essere state tagliate devono poter asciugare in un luogo caldo e asciutto e affidate al substrato solo quando sul taglio, ormai asciutto, si sia formato un velo impermeabile. Con le succulente a stelo si esegue un taglio orizzontale, appena 2-3 mm. sotto ad un nodo (se presente), si tolgono le eventuali foglie inferiori e si accorciano quelle superiori. La talea sarà lunga circa 10 cm. Le talee di Euphorbia si immergono in acqua calda per impedire che sul taglio si formi un coagulo che impedirebbe, in seguito, il radicamento.
Talea di foglia o parte di essa. Con un attrezzo affilato si stacca una foglia che viene fatta asciugare e poi appoggiata semplicemente al substrato appena umido. Questo tipo di talea è molto frequente per Sansevieria, Aeonium tabulaeforme, Gasteria, Haworthia e molte Crassulacee come Echeveria, Pachyphytum, Adromiscus, Sedum, Kalanchoe. Un caso particolare è costituito da Briophyllum che produce intorno alla foglia delle mini piantine, a volte già radicate e pronte a germogliare. Questo sistema rende la pianta infestante per cui va tenuta in disparte.
Per i Lithops (e Mesembriantemi simili) occorre cercare di staccare la foglia più in basso possibile, in quanto è indispensabile prelevare l'apice vegetativo. Si fa asciugare per qualche giorno e si pianta in sabbia asciutta.
Le talee di radici. Poco frequenti nelle succulente, trattasi di prelevare porzioni di radici principali, lunghe circa 2 cm, da "seminare" in terriccio leggero appena coperte. Si preparano ai primi di marzo con calore di fondo.
Un caso particolare è quello della Leuchtembergia principis che è possibile moltiplicare per talea di tubercolo.
Substrato. Il substrato migliore è costituito dalla sabbia o pomice disinfettati in acqua bollente.
Esecuzione. Le talee si interrano poco, circa 1 cm, se non stanno diritte si può affiancare loro un tutore. Un altro metodo è quello di mettere nel vaso 1/3 di composta per cactacee, si copre con qualche centimetro di graniglia, si inserisce la talea e si aggiunge dell'altra graniglia fino ad un centimetro dal bordo.
Condizioni. L'ambiente deve essere sufficientemente caldo (20-25°C), umido e ben illuminato. L'umidità impedisce alla talea di avvizzire, ma se eccessiva la fa marcire, per cui occorre che i tre elementi indicati siano ben equilibrati, anche in funzione del tipo di pianta, dell'ambiente e della stagione. Maestra in questo campo è soprattutto la pratica. L'inserimento di talee in aria confinata, ad esempio sotto un vasetto di vetro rovesciato o dentro un sacchetto di plastica trasparente, aiuta molto.
Ad attecchimento avvenuto si dà aria in modo graduale e quando si considera che le radici siano sufficientemente sviluppate si tolgono dal substrato e si invasano con un terreno adatto alla specie. L'uso di ormoni radicanti, seppure non indispensabili, possono essere d'aiuto nei casi difficili come per certe Euphorbia e Alluaudia.
Germogli (getti), divisione dei cespi, rizomi, tuberi. Molte piante quali Aloe, Agave, Echinocereus, Gasteria, Haworthia, Sempervivum, Sansevieria, Sedum emettono con dovizia germogli basali già radicati che una volta separati, si invasano per ottenere con facilità nuove piante. Se i germogli sono emessi più in alto, e sono quindi senza radici, possono essere staccati e fatti radicare come talee. Se una pianta non produce rami, come accade a molte cactacee, si può tagliare l'apice in modo da stimolare la pianta a produrre ricacci che una volta raggiunta una certa dimensione possono essere staccati e fatti radicare per ottenere nuove piante.
Stoloni, propaggini. Questo metodo di propagazione si usa per quelle succulente che hanno la tendenza ad allungarsi, spesso a livello del terreno, per cui è sufficiente interrare una parte di ramo per fargli emettere radici, dopo di che si separa dalla pianta madre e si invasa.
Innesto. Tecnica mediante la quale si uniscono due piante, o loro parti, con lo scopo di ottenere una saldatura come se si trattasse di un unico corpo. La pianta che riceve l'innesto si chiama soggetto o portainnesto, quella che si inserisce marza o nesto. Affinché ciò accada è necessario che marza e soggetto appartengano alla stessa famiglia e che si tratti di dicotiledoni. Gli scopi sono molteplici: accelerare la crescita di soggetti lenti, da affrancare successivamente se lo si desidera; propagare le piante crestate; permettere la sopravvivenza a soggetti difficili ed a quelli che non producono clorofilla; salvare una piccola porzione sana, di una pianta malata per la quale non è possibile eseguire una talea; moltiplicare piante che emettono radici con difficoltà. L'innesto si esegue di preferenza su Cactaceae, ma anche su Euphorbiaceae, Didieraceae, Asclepiadaceae. Il periodo migliore è quello in cui le piante sono in piena vegetazione e cioè da metà aprile a metà agosto. L'innesto si esegue su parti preferibilmente giovani che non presentino fasci lignificati; è eseguibile anche su semenzali con una tecnica descritta a proposito delle semine e alla pagina: F.A.Q. inerente l'innesto ipocotile.
Sono buoni portainnesti per le cactaceae in genere: Trichocereus schickendatzii, T.spachianus, T.macrogonus, T.pachanoi, T.bridgesii, Opuntia. Echinopsis di 2-3 cm di diametro si presta bene per Aztekium, Ariocarpus, Uebelmannia; Austrocylindropuntia subulata per Tephrocactus. Myrtillocactus tenuto a circa 10°C. è molto indicato per Ortegocactus; Harrisia tenuta a 12°C. per Sulcorebutia. Pereskiopsis velutina, P.spathulata, Opuntia humifusa sono da preferire per i semenzali. Selenicereus grandiflorus e S.hamatus si prestano per tutti i cacti epifiti. Hylocereus, assai usato dai vivaisti è da sconsigliare, sia per le temperature minime che per i problemi che questo innesto genera; chi avesse piante così innestate farebbe bene a reinnestarle su altro portainnesto più consono.
Fra le succulente: Ceropegia woody per le Asclepiadaceae; Pachypodium lamerei e Oleandro per le Apocynaceae; Stapelia per Hoodia, Trichocaulon e Tavaresia; Euphorbia mammillaris, E.canariensis, E. ingens per Euphorbia in genere; Alluaudia procera per le Didieraceae; Crassula portulacea per le Crassulaceae.
Circa le modalità di esecuzione, la sovrapposizione orizzontale é fra le più seguite. Si disinfetta con alcool la lama del "cutter" con la quale si taglia in orizzontale la sommità del portainnesto in modo netto e senza creare scalini con movimenti di avanti-indietro. Si smussano, rastremandoli, i contorni sia del portainnesto che della marza, procedendo in modo spedito per non far asciugare i tagli. Il Lodi consiglia di sovrapporre ai tagli una fettina di qualche millimetro di spessore. Si sovrappone la marza al soggetto con un movimento di avanti-indietro per eliminare possibili bolle d'aria e facendo in modo che i fasci vascolari coincidano. Se il diametro è diverso occorre spostare lateralmente la marza e far intersecare i fasci. E' buona norma che il diametro del portainnesto sia di poco superiore alla marza. Maggiori sono i punti di contatto, meglio riesce l'innesto. La rastrematura è indispensabile per evitare che la zona interna dei tagli, asciugandosi di più di quella esterna, provochi il distacco della marza. Anche le areole del portainnesto vanno rimosse per evitare che questo emetta dei getti che toglierebbero preziosa linfa alla marza.
A questo punto si esercita una moderata pressione sulla marza e la si fissa con due robuste spine di cactus, quindi si passa un elastico da sopra la marza a sotto al vaso. La pressione esercitata deve essere moderata per non compromettere il lavoro.
.La sovrapposizione obliqua si riconduce a quella precedente, con la differenza di avere a disposizione una superficie d'innesto maggiore: vedi fig. 3
Innesto ad incastro: vedi parte destra di fig.1
L'innesto a spacco è adatto per Schlumbergera, Aporocactus, Wilcoxia, usando come portainnesto Pereskiopsis e legando con rafia. Si esegue come in fig.2.
L'affrancamento è l'operazione con la quale si permette alla marza di emettere radici. Il distacco della marza da piante adulte si esegue, preferibilmente, in primavera; si attende che la ferita cicatrizzi per bene, poi si trasferisce la marza su di un substrato umido, prevalentemente minerale (pomice), in ambiente a 25-30°C. per farla radicare.
RIPRODUZIONE SESSUATA
Vedi "Le semine".
RECIPIENTI DI COLTURA
I vasi. A meno di vivere in zone a clima particolarmente favorevole, le piante grasse devono essere coltivate in vaso. In passato si è molto discusso se dare la preferenza ai contenitori in plastica o a quelli in terracotta. Oggi quasi tutti concordano sulla superiorità della plastica: più leggera, di minor costo, facile da disinfettare, si asciuga più lentamente della terracotta, non crea incrostazioni, le radici non si attaccano alle pareti con grave pregiudizio per i peli radicali. Il colore più adatto è il marrone, non solo perché esteticamente migliore, e di aspetto simile alla terracotta, ma perché il nero, purtroppo assai comune, esposto al sole scalda troppo le radici col rischio di bruciature. Quanto alla forma, quella quadrata gode dei maggiori favori, perché utilizza, senza sprechi, tutto lo spazio a disposizione sui bancali (+ 27% di superficie utile).
Ad ogni svasatura tutti i contenitori devono essere disinfettati prima del loro riutilizzo. S'inizia mettendo in ammollo i vasi in un secchio, poi, con l'ausilio di un pennello si asportano i residui di terra. Fa seguito un accurato risciacquo e quindi la disinfezione con formaldeide, lysoform, o varechina nelle proporzioni di una parte di prodotto contro dieci di acqua. I vasi resteranno immersi nella soluzione per almeno un paio di giorni, dopo di che si provvederà ad un ultimo e abbondante lavaggio. I vasi in terracotta vanno intrisi di alcool al quale poi si dà fuoco.
Gli attrezzi. Anch'essi devono essere periodicamente disinfettati usando la stessa metodologia dei vasi. Per coltelli, cutter e forbici si usa alcol denaturato.
I vassoi. E' assai utile tenere i vasi, di non grande dimensione, nei vassoi. Ne deriva il duplice vantaggio della facilità di trasporto nonché di annaffiatura e fertilizzazione che potrà essere eseguita, assai proficuamente, dal basso.
Il rinvaso. Va eseguito in un recipiente di adeguate dimensioni, non troppo piccolo per non comprimere le radici che renderebbero difficili anche le annaffiature e le concimazioni, ma neppure troppo grande per non avere l'inconveniente delle radici che si dirigono subito verso la parete senza riempire tutto il pane di terra, per cui in breve tempo dovremmo rinvasare di nuovo con pregiudizio per l'estetica e per lo spazio a disposizione. Di norma si usano misure di due-tre centimetri più larghe della precedente. Una radice a fittone richiede un vaso più profondo che largo, mentre una ramificata ne pretende uno inverso. In caso di primo rinvaso (quello dopo la semina), si usano vasetti di 6-7 cm. Sono da sconsigliare quelli piccolissimi da 2,5 cm. che asciugano troppo velocemente.
Vanno rinvasate, anche se mostrano di non averne bisogno, le piante acquistate presso supermercati e vivai non specializzati, che di norma sono fatte crescere su torba, che a lungo andare risulta dannosa per le succulente (asfissia). Si immergono i vasi in acqua fino a quando la torba non sia ben intrisa; si tolgono le piante dal vaso e si pongono sotto un getto d'acqua fino a quando tutta la torba non se ne sia andata; quindi si fanno asciugare le radici all'ombra per qualche giorno, dopo di che si rinvasano con un terriccio adatto.
Il rinvaso crea comunque un trauma e lo si esegue con terreno e su terreno asciutto, di norma a primavera, ma nulla osta che venga fatto in qualsiasi periodo dell'anno, a patto che il pane di terra non si sfaldi. Da evitare, forse, l'autunno allorché le piante si preparano alla stasi invernale. Non si rinvasa tutti gli anni, ma solo quando notiamo in maniera evidente che il vaso è divenuto troppo piccolo, o le radici cominciano a fuoriuscire dal foro di scolo, o infine ci accorgiamo che la pianta, probabilmente sofferente, non cresce più.
Le piante giovani hanno un ritmo di crescita più veloce di quelle mature; si eviti di rinvasare piante molto vecchie e quelle con cefalio.
Per facilitare il rinvaso di piante di una certa dimensione, oltre che con guanti spessi da giardiniere, ci si aiuta col classico giornale piegato più volte passato intorno alla pianta, il cui bordo del vaso rovesciato viene battuto su di un tavolo o asse di legno. Si sistemano le radici, si asportano quelle morte, si tagliano quelle aggrovigliate o troppo lunghe, si verifica se ci sono parassiti da debellare (cocciniglie, nematodi, ecc.), si disinfettano le ferite con zolfo ramato in polvere. Se il foro di scolo è grande lo si copre con un pezzetto di coccio, si versa un pò di terriccio fresco, si sistema la pianta con le radici possibilmente allargate, si termina di versare la terra che deve arrivare a 1-2 cm. dal bordo in corrispondenza del colletto della pianta. Prima di annaffiare ed eventualmente concimare attendere almeno una settimana per dare modo alle ferite di rimarginare ed al soggetto di riprendersi. Evitare in modo assoluto di ferire, in qualche modo, la radice a fittone di Copiapoa, Ariocarpus, Lophophora, ecc. pena la perdita della pianta.
L'ANNAFFIATURA
Le annaffiature cominciano, con precauzione, all'inizio della primavera lasciando asciugare il terreno per qualche settimana prima di fornire alle piante nuova acqua. Poi si aumenta gradatamente sia la quantità che la frequenza fino all'inizio dell'estate.
Durante i mesi di grande caldo, spesso le cactacee bloccano l'attività o comunque la rallentano, per cui si torna a ridurre la quantità d'acqua. Bagnare molto verso la fine dell'estate può risultare, infatti, pericoloso. Sono raccomandate alcune spruzzature e qualche rinfrescata serale.
In autunno molte specie tornano a crescere, per cui si può fornire loro qualche buona annaffiatura.
Durante i mesi invernali non si bagna, salvo qualche spruzzata o lieve somministrazione nei casi in cui si nota un principio di avvizzimento.
Evitare che l’acqua ristagni in un sottovaso che, al contrario, deve poter sgrondare velocemente.
Molti si chiedono ogni quanti giorni occorra annaffiare, non è possibile rispondere ad una domanda così formulata, perché troppe sono le variabili in gioco. Infatti, un vaso piccolo e di terracotta asciuga prima di uno largo, profondo o di plastica. Un substrato con molta sostanza organica asciuga in modo meno rapido di uno prevalentemente minerale. Un’alta temperatura e un’elevata circolazione dell’aria sono elementi che contribuiscono a seccare il suolo più velocemente. Va anche considerato che piante dalle foglie grasse, con caudice o radice a fittone, richiedono, in genere, meno acqua, mentre i semenzali devono essere tenuti costantemente umidi per alcuni mesi. Per tali ragioni è assai più corretto indicare quanto tempo deve intercorrere dal momento in cui il suolo è completamente asciutto e la successiva somministrazione. Tale intervallo, a secondo della stagione e del tipo di pianta può oscillare fra i 3 ed i 7-15 giorni.
Circa il tipo di acqua, personalmente preferisco usare quella piovana, raccolta dopo almeno 15 minuti da quando è iniziata la precipitazione, così da essere immune da impurità, polveri e spore patogene prestando attenzione al pH (piogge acide). Le piante, di norma, lo preferiscono compreso fra 6,5 e 7. C'é chi fa bollire e poi riposare l'acqua di rubinetto, risolvendo però solo in parte il problema, senza considerare che quando le piante sono molte il procedimento risulta alquanto scomodo e lungo. Alcuni aggiungono acido ossalico (mediamente un cucchiaio/lt. d'acqua), altri acido fosforico (mediamente 1 cc/lt d'acqua), acido solforico o acido nitrico fino a raggiungere il pH voluto. Ecco alcuni parametri:
- acqua bollita per 10' perde il 10% di calcio;
- acqua bollita per 30' perde il 50% di calcio;
- acqua fatta riposare per una settimana perde il 10% di calcio.
- Un litro d'acqua con aggiunta di 1,2 ml. di acido solforico al 98% abbassa la durezza di un grado DH. Per cui supponendo che l'acqua di rubinetto contenga 150 mg di ossido di calcio (Ca O) per litro e cioè 15° DH, dovremo usare 18 ml di acido solforico per litro d'acqua per eliminare tutto il calcio presente.
Una soluzione potrebbe essere quella di usare acqua piovana raccolta dal tetto, eventualmente miscelata con acqua di rubinetto per correggerne l'eventuale eccessiva acidità. Il pH si può misurare con gli appositi kit usati in acquariologia e nel trattamento acque (addolcitori).
Altro parametro che è bene considerare è quello della salinità della soluzione nutritiva finale (conducibilità elettrica) da mantenere entro 1,6-2,5 mS/cm.(micro Siemens per cm)
E' bene che la soluzione nutritiva venga preparata al momento dell'uso in quanto il calcio, normalmente presente nell'acqua, a contatto col fosforo tende a precipitare ed a formare un sale non assimilabile dalle colture. Un'altra possibilità potrebbe essere quella di acidificare la soluzione.
I FERTILIZZANTI
Trattasi di sostanze in grado di arricchire il suolo di nutrienti. Ce ne sono di naturali (organici) e di chimici sotto vario titolo e forma: liquidi, in polvere, in grani, in pillole, in pani ecc. In un buon terreno troviamo macroelementi come: l'azoto, il fosforo, il potassio, il calcio, lo zolfo, il magnesio ed il ferro tutti indispensabili per permettere la vita alla piante al pari dell'ossigeno e del carbonio, sotto forma di anidride, assunti entrambi dall'aria, e dell'Idrogeno estratto dall'acqua.
L'azoto è un regolatore delle crescita, necessario per la sintesi delle proteine e la formazione della sostanza vivente. E' presente nella materia organica e nell'humus ed è trasportato dal floema e dallo xilema. Provvede alla costruzione della struttura dei tessuti vegetali unitamente all'idrogeno ed all'ossigeno dell'acqua, e al Carbonio fotosintetico. Speciali microrganismi provvedono alla trasformazione dell'azoto organico in ammoniacale e quindi in nitrico che è la forma con la quale le piante più facilmente lo possono assimilare (80-90%). Nessuna pianta verde è in grado di fissare l'azoto atmosferico senza entrare in simbiosi con batteri od organismi Frankia. Viene fornito per via chimica con il nitrato ammonico, il solfato ammonico e l'urea, tutti e tre a reazione non alcalina, oppure per via naturale mediante il sangue secco e la cornunghia torrefatta (il primo di pronta assimilazione ed il secondo a lenta cessione). Le piante grasse, considerata la loro struttura e l'ambiente in cui vivono, richiedono poco azoto se non si vuol predisporle alle malattie.
Il fosforo è un costituente degli acidi nucleici (DNA-RNA), e dell'adenosintrifosfato (ATP), è presente nei cromosomi, i suoi composti organici sono fondamentali nei processi energetici; si lega alla sostanza organica ed ai colloidi, ed è la pianta stessa a regolare la disponibilità della sostanza; stimola i meristemi apicali e radicali, contribuisce al mantenimento del buono stato di salute, rafforza le difese contro le malattie e le avversità, favorisce la fioritura e la formazione dei semi, trasforma la linfa grezza in eleborata. Poiché spesso il terreno ne è carente viene fornito sotto forma di perfosfato minerale che dovrebbe essere perfettamente solubile in acqua. Non si disperde facilmente come avviene per l'azoto nitrico. La farina d'ossa ed il guano sono, fra i concimi naturali, quelli a più elevato contenuto di fosforo.
Il potassio è fondamentale nel processo osmotico delle cellule, è presente nel citoplasma e nel vacuolo, determina la pressione idraulica interna, irrobustisce le piante, forma la riserva zuccherina, dà colore ai fiori, regola la traspirazione. Una sua carenza fa assumere alla pianta un aspetto appassito. E' trattenuto dal terreno per cui è privo di dispersione. Si usa sotto forma di solfato potassico, un sale molto solubile in acqua, con un titolo molto elevato (50-52).
Lo zolfo ed il calcio sono, in genere, presenti in quantità sufficienti nella terra di campo ma non sempre nei terricci preparati. Il primo è il costituente degli aminoacidi solforati, ed è deputato alla sintesi delle proteine; il secondo è un componente delle membrane cellulari e delle pectine, attiva gli enzimi, neutralizza gli acidi organici, rallenta l'invecchiamento dei tessuti, fortifica la pianta contro gli attacchi parassitari, sovrintende al ricambio idrico, al trasporto della linfa ed allo sviluppo delle radici.
Il magnesio è un componente della clorofilla, facilita il trasferimento del fosforo, è un attivatore delle reazioni biochimiche, entra nella sintesi dell'amido e degli zuccheri. Va somministrato con le concimazioni perché spesso, per vari motivi, è carente nel terreno, e causa di clorosi.
Il ferro serve allo sviluppo dei cloroplasti per la sintesi della clorofilla, regola la fotosintesi e la respirazione cellulare, entra nella costituzione di vari enzimi. L'apporto avviene in forma chelata (EDTA, DTPA, EDDHA). Una sua mancanza provoca la clorosi ferrica, che fa assumere alla pianta una colorazione gialla.
Fra i microelementi ad azione catalica che devono essere presenti, ma in quantità minime (meno di 0,01%) annotiamo:
-il boro per il trasporto degli zuccheri e lo sviluppo meristematico;
-il manganese per la fotosintesi e l'attivazione enzimatica;
-il rame per l'attivazione enzimatica e la sintesi delle proteine;
-lo zinco per l'attivazione enzimatica, la sintesi delle proteine e degli ormoni;
-il molibdeno per il metabolismo dell'azoto;
-il cloro per la fotosintesi.
Vi sono poi altri elementi quali silicio, alluminio, cobalto, nickel, selenio, vanadio che di norma sono presenti nell'acqua per cui le piante non dovrebbero denunciarne la carenza.
I microelementi sono componenti essenziali dei sistemi enzimatici delle cellule, ove agiscono come co-fattori; possono essere assorbiti anche per via fogliare.
L'assunzione della soluzione nutritiva avviene principalmente ad opera delle radici per osmosi e per assorbimento attivo. Attraverso le foglie le piante assimilano l'anidride carbonica, gli elementi forniti dall'uomo, e in piccola parte l'acqua.
NOTA. Non si concima durante il riposo della pianta, né immediatamente dopo un trapianto. La concentrazione dei sali solubili deve essere inferiore al 2 per mille, meglio se pari a 0,5 per mille aumentando, per contro, la frequenza di somministrazione. Il rapporto, non il titolo, fra i principali elementi azoto, fosforo e potassio dovrebbe essere di 1-2-4 o 1-3-5, cioè poco azoto, molto fosforo, moltissimo potassio.
Circa il modo di somministrazione si può optare, a seconda dei casi, per quello tramite annaffiatura o mescolato al terriccio. Si può usare 1 gr. di solfato ammonico, 11 gr. di perfosfato, 6 gr. di solfato potassico, 2 gr. di solfato di magnesio, oppure si può mescolare in pari quantità nitrato potassico e fosfato monopotassico da sciogliere in acqua nel rapporto di 0,5 gr. per litro. Tuttavia appare assai più pratico usare prodotti concentrati da diluire al momento dell'uso, contenenti anche microelementi, e facilmente reperibili. Per quanto riguarda la quantità di concime da addizionare al terriccio questa sarà, mediamente, di 3 gr. per litro di composta.
Le piante a crescita lenta non andrebbero concimate perché causa la loro struttura possono assorbire solo piccolissime quantità di nutrienti per cui sono più che sufficienti quelli già presenti nel terreno e nell'acqua.
RISCALDAMENTO - UMIDITA'- OMBREGGIAMENTO - VENTILAZIONE
Si rinvia a quanto riportato nella sezione che si occupa della serra.
MINIME DI RICOVERO INVERNALE
LE CURE STAGIONALI
Primavera. A marzo, si notano i primi segni di risveglio vegetativo. Alcune Mammillarie, qualche Notocactus e Mesembriantemo hanno già pronti i boccioli, per cui forte è in noi la tentazione di annaffiare: sarebbe un errore che potrebbe portare le piante alla marcescenza. Infatti queste hanno riserve idriche tali che possono fiorire senza avere bisogno d'acqua. Quelle provenienti dal deserto si giovano di una esposizione al sole, non all'aperto, eseguita in modo graduale, onde scongiurare bruciature che deturperebbero le piante per lungo tempo. I cacti della foresta saranno sistemati in posizione luminosa, ma non al sole.
Verso i primi di aprile si comincia ad annaffiare di mattino, con moderazione, specialmente quelle piante che danno segni di sofferenza, prestando attenzione alla temperatura che dovrebbe essere di almeno 15°C.
Marzo e aprile sono i mesi più indicati per i rinvasi e per diradare le semine dell'anno precedente, per sostituire la terra ormai esaurita con la nuova alla quale si sarà aggiunto un fertilizzante fosfopotassico o della farina d'ossa. Si andrà anche alla ricerca di eventuali parassiti quali la cocciniglia ed il ragnetto rosso.
In aprile possono iniziare le concimazioni liquide e le semine a calore naturale, il mese successivo gli innesti. A maggio le piante andranno esposte in pieno sole ed all'aperto in modo che possano godere di una buona ventilazione.
Estate. Le piante sono per la maggior parte in piena attività, vanno annaffiate preferibilmente di sera ogni qualvolta la terra si dimostra asciutta (cosa che può accadere anche frequentemente). Attenzione alla grandine (utile una rete protettiva), ai forti temporali ed alle raffiche violente del vento che possono arrecare danni. Proseguono le concimazioni e con la fine di agosto non si eseguono più innesti. Durante le calde notti estive molte piante possono andare in estivazione e bloccare momentaneamente la crescita, per cui vanno nebulizzate (non annaffiate) nelle ore più fresche.
Autunno. Con i primi di settembre le piante si predispongono per il riposo, molti Mesembriantemi cominciano a fiorire, tuttavia a tutte sospendiamo le concimazioni e rallentiamo le annaffiature, pur continuando a tenerle in piena luce. Quelle all'esterno vengono riparate dalla pioggia e a fine settembre portate al chiuso eliminando eventuali parassiti (cocciniglie, ragnetti rossi, ecc.) e lumache che spesso si rifugiano sotto il bordo dei vasi. In Ottobre si eseguono due sole annaffiature a distanza di 15 giorni, in una delle quali si aggiungerà un anticoccidico; l'ultima annaffiatura avverrà a circa metà novembre (dipende dall'andamento stagionale) con aggiunta di un buon fungicida sitemico. Prima del riposo è fondamentale bagnare la parte aerea delle piante con un buon anticrittogamico misto ad un antiparassitario entrambi in grado di agire per contatto. In questo periodo molti eseguono le semine dei soggetti a crescita autunno-inverno.
Inverno. Con l'abbassamento della temperatura e la sospensione delle annaffiature (anche laddove il clima è particolarmente favorevole), la terra si asciuga e le piante vanno in riposo. E' ora di predisporre un impianto di riscaldamento, laddove necessario, in grado di assicurare 4/6°C. alla maggior parte delle cactaceae, fanno eccezione Melocactus, Discocactus, Uebelmannia e qualche altro genere i quali richiedono temperature minime ben più elevate. Molte succulente di origine tropicale come molte Euphorbie e quelle munite di caudice esigono temperature dell'ordine dei 14-16°C. come è rilevabile andando alla pagina minime invernali. Si cercherà di ridurre, per quanto possibile, la deleteria umidità ambientale mediante un ventilatore. Chi possiede una serra può assumere maggiori informazioni selezionando l'apposita sezione. Gli altri dovrebbero provvedere a sistemare le piante in un locale non riscaldato come un garage, soffitta, ballatoio, scala e perfino cantina. Se la temperatura dovesse scendere troppo si possono avvolgere i vasi in carta da giornale o in tessuto non tessuto. E' preferibile un locale illuminato, ma se le piante sono in completo riposo, poca luce non arreca loro danni.
Molti ricoverano i cactus in stanze poco illuminate, riscaldate a 20-23°, che poi annaffiano per non vederli appassire, con la conseguenza di ottenere una crescita stentata e giallastra (filatura o eziolatura che dir si voglia) che li deformerà in modo permanente, non li farà fiorire e a causa del mancato riposo si indeboliranno fino a morire.
Alcuni coltivatori preferiscono anticipare le semine provvedendo a ciò nei mesi da dicembre a febbraio. Ovviamente ricorrono al riscaldamento e all'illuminazione artificiale nonché all'uso di un germinatoio come descritto alla pagina delle semine. In questi casi si raccomanda la disinfezione del substrato e la semina in aria confinata mediante il metodo del sacchetto o della pellicola trasparente come indicato nella sezione dedicata alle semine.
CALENDARIO DELLE COLTIVAZIONI
REGOLE BASILARI
- Le piante con esposizione a sud avranno una crescita armoniosa, un'abbondante fioritura e delle spine robuste.
- Bagnare le piante solo quando il terriccio è completamente asciutto e mai con le piante in stasi vegetativa, che può verificarsi non solo d'inverno ma anche durante il grande caldo; nel dubbio non annaffiare: muoiono più piante per eccesso d'acqua che per carenza.
- Concedete alle piante un periodo di riposo necessario per predisporle alla successiva vegetazione e fioritura.
LE FORME STRANE
In coltivazione, più che in natura, si assiste a forme non comuni che prendono il nome di crestatura, dicotomizzazione, mostruosità, spiralizzazione.
La crestatura, detta anche fasciazione, è una anomalia (non una malattia), mediante la quale l'apice vegetativo anziché svilupparsi in altezza tende ad allargarsi creando una specie di cresta o ventaglio che col tempo forma pieghe e curve particolari. Nel caso della dicotomizzazione l'apice vegetativo (meristema apicale) si divide in due dando luogo alla tipica pianta a due teste. Allorché le teste sono molte, anche se apparentemente normali, si parla di mostruosità.
Sono molte le piante con anomalie apicali, fra le cactaceae citiamo: Myrtillocactus geometrizans, Lophocereus schottii, Cereus peruvianus, Monvillea spegazzinii, Mammillaria bocasana, M.spinosissima, M.zeilmanniana, M.parkinsonnii, M.nejapensis, Trichocereus bridgesii, Cereus forbesii, Stenocereus marginatus, Sulcorebutia rauschii. Fra le altre succulente: Euphorbia echinus, E.pugniformis, E.piscidermis, E.obesa, E.lanaganii, Aeonium tabulaeformis, Alluaudia procera, Echeveria sangusta.
Le cause di dette anomalie sono ancora sconosciute, anche se alcuni vorrebbero farle risalire ad attacchi fungini, lesioni, eccesso di vigore. Comunque ogni tentativo di provocarle artificialmente è fallito. La moltiplicazione avviene per talea ed innesto, raramente per seme, sia perché a volte la fasciazione non consente la fioritura, ed anche quando c'é produzione di seme spesso si sviluppano piante normali. Non mancano le eccezioni come accade, ad esempio, con Cereus peruvianus monstruosus e Gymnocalicium quehlianum che danno luogo a semi da cui si sviluppano piante anomale. Nel caso del Gymnocalycium si tratta di impollinare un soggetto crestato con uno normale.
La spiralizzazione è un fenomeno raro, mediante il quale alcune piante, per lo più colonnari, a causa di modificazioni, probabilmente genetiche, nel meristema apicale danno luogo ad un minore accrescimento dello stesso rispetto ai tessuti adiacenti, in modo tale da produrre un fusto con i piani disposti obliquamente (a spirale). Ne sono tipici esponenti alcune forme di Astrophytum myriostigma, Copiapoa cinerea, Euphorbia groenwaldii.
La variegatura è una mancanza di clorofilla che può interessare tutta la pianta, o una parte di essa, che in tali casi assume una colorazione gialla e qualche volta rossa. Tipico è il caso di Gymnocalicium mihanovicii che mancando totalmente di clorofilla per sopravvivere deve essere innestato. Una variegatura parziale è tipica in Ferocactus wislizenii. In Giappone si ha una grande produzione di piante variegate artificialmente mediante esposizione a radiazioni elettromagnetiche.
Le chimere costituiscono un caso particolare, ove tessuti di piante non della stessa specie, si uniscono per dare luogo ad un soggetto dall'aspetto imprevedibile. Si pensa che Echinopsis jaku-jo rientri in questa casistica.
Le mutazioni genetiche. Se una pianta ad un certo momento emette un pollone con caratteristiche non comuni alla sua specie siamo in presenza di una mutazione chiamata sport che quando appare migliorativa si procede alla moltiplicazione. Il produttore di una nuova cultivar può brevettarla per uno sfruttamento economico.
INIZIARE UNA COLLEZIONE
Spesso chi inizia a collezionare piante grasse lo fa quasi inconsciamente, acquista qualche piantina al supermercato o dal fioraio sotto casa perché attratto dall'aspetto accattivante. In seguito altre andranno a far compagnia alle prime, e ben presto ci si ritrova con una ventina di graziosi vasetti. A questo punto il "virus collectionis" è penetrato nella mente dell'incauto che si appresta a diventare un cactofilo. E' la fase in cui si legge tutto ciò che ha a che fare con le piante grasse, in libri, riviste, CD. Si cercano appassionati che abitano nella zona, si aderisce magari ad una associazione. Inizia poi una spasmodica ricerca nella rete, si scovano sempre nuovi siti, si leggono i thread su qualche News Group, ovvero ci si iscrive ad una Mailing list: e un mondo nuovo e immenso si apre ai suoi occhi. Si vorrebbe possedere tutte quelle piante dalle fioriture stupende, ed è proprio qui che forse qualche consiglio può diventare utile.
Ognuno ha i suoi gusti che è giusto rispettare, ma per avere successo occorre fare i conti con le condizioni di vita che possiamo offrire alle nostre piante in rapporto alle loro esigenze. Chi ha un semplice balcone può coltivare, durante la buona stagione, un certo tipo di piante in numero proporzionale allo spazio che possiede. Ma d'inverno dovrà poterle ricoverare in un ambiente non riscaldato all'interno della casa a meno che non si scelga di coltivare Sempervivum, Sedum, Opuntia, Chamaecereus che possono restare all'esterno purché protetti dalla pioggia. Chi possiede una terrazza ha molte possibilità in più, specialmente se può approntare un riparo dalle intemperie con all'interno una stufetta in grado di mantenere un debole tepore (4/6°C.). I fortunati possessori di una serra non hanno limiti in fatto di specie coltivabili.
Vorrei avvertire, a questo proposito, che sarebbe preferibile operare delle scelte mirate, indirizzando il proprio interesse verso una o più famiglie o generi. Un altro criterio potrebbe essere quello geografico coltivando piante di diversi generi ma che in natura convivono in un determinato ambiente. Queste scelte oltre che dettate dal gusto, devono tenere conto dell'esposizione che si è in grado di offrire. Così se l'ambiente è esposto a Nord possiamo coltivare Haworthia, Gasteria, diverse Crassule, cactus epifiti. Se invece riceve sole da Sud le possibilità sono tantissime: quasi tutte le cactacee, moltissime succulente compresi i graziosi Lithops. Durante la buona stagione sarà anche il caso di predisporre un telo ombreggiante. Visto che siamo ancora dei neofiti sceglieremo i generi meno difficili come Aporocactus, Echinopsis, Ferocactus, Notocactus, Turbinicarpus, Astrophytum, Lobivia, Echinocereus, molte Mammillarie, e per chi ama i cactus colonnari: Cereus, Cephalocereus, Cleistocactus, Espostoa. Fra le succulente non cactacee la nostra scelta potrebbe cadere su Echeveria, alcune Euphorbia, Mesembriantemi, Kalanchoe, Nolina, Senecio, Tacitus.
Una volta portate a casa le piante vanno subito rinvasate per verificare la presenza di parassiti, lo stato delle radici ed operare il cambio del substrato secondo quanto sopra indicato a proposito del rinvaso.
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